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Assisi, cittadinanza onoraria per la pace: i toccanti messaggi dei sopravvissuti italiani alla Shoah

Emozionante cerimonia nella Sala della Conciliazione in Comune: ringraziamenti al sindaco Proietti anche dalla senatrice a vita Liliana Segre e dagli altri sopravvissuti che non sono riusciti a presenziare

Noemi Di Segni, presidente dell’Ucei (foto diocesiassisi.it)

Memoria e commozione ad Assisi, dove il Comune ha conferito la cittadinanza onoraria per la pace ai sopravvissuti italiani alla Shoah, che al momento della decisione presa all'unanimità in Consiglio (il 14 febbraio 2020) erano 17 ma sono diventati 16 dopo la morte di Nedo Fiano avvenuta il 19 dicembre 2020.

L’evento, organizzato dall’amministrazione, insieme al Museo della Memoria della Diocesi e all’Ucei (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), si è svolto nella Sala della Conciliazione del Palazzo comunale di Assisi. Dopo i saluti del sindaco Stefania Proietti e gli interventi l’intervento del vescovo monsignor Domenico Sorrentino, del presidente dell’Ucei Noemi Di Segni (in foto) e del presidente della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi (già insignito della cittadinanza onoraria per la pace), c'è stata la testimonianza di alcuni sopravvissuti: presenti Liliana (Tatiana) Bucci, Gilberto Raffele Salmoni e in collegamento Bucci Alessandra (Andra), ai quali è stata consegnata (dopo lettura della motivazione) della cittadinanza onoraria per la pace.

Messaggi toccanti poi sono arrivati dai sopravvissuti che non hanno potuto partecipare all'evento, tra i quali anche la senatrice a vita Liliana Segre. Eccoli...

AGATA (GOTI) HERSKOVITS BAUER

EDITH BRUCK

VIRGINIA E LEA GATTEGNO

SAMUEL (SAMI) MODIANO

LILIANA SEGRE

DIAMANTINA VIVANTE

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AGATA (GOTI) HERSKOVITS BAUER:

Agata (Goti) Herskovits nasce a Berehove in Cecoslovacchia il 29 luglio 1924, da famiglia ebraica che risiede a Fiume, allora italiana. La situazione diventa difficile con l'introduzione delle leggi razziali fasciste nel 1938 e precipita dopo l'8 settembre 1943 quando Fiume viene annessa al Terzo Reich. Goti viene arrestata il 2 maggio 1944, con i genitori e il fratello Tiberio (n.1926), a Cremenaga (Varese), mentre cercavano di attraversare il confine italo-svizzero con documenti falsi. Detenuti nel carcere di Varese, in quello di Como e a San Vittore a Milano, vengono internati nel campo di transito di Fossoli e quindi deportati nel campo di concentramento di Auschwitz, dove giungono il 23 maggio 1944. Goti è immatricolata con il n. A-5372. Da Auschwitz Goti è trasferita a Wilischtahl (n. di matricola 58837) nel novembre 1944, e quindi al campo di concentramento di Theresienstadt, dove si trova al momento della liberazione il 9 maggio 1945. Sarà l'unica della famiglia a sopravvivere. Goti rientra in Italia nel luglio 1945. Sposatasi Bauer, si trasferisce per diversi anni con il marito ad Asmara in Eritrea.

Il messaggio - "Gentilissima Professoressa Stefania Proietti, con commozione ed emozione ringrazio Lei e il Consiglio Comunale per aver voluto conferirmi l’onorificenza di “Cittadina onoraria per la Pace della Città di Assisi”, insieme agli ultimi sopravvissuti ancora in vita, come me. Con sincero rammarico non posso presenziare alla cerimonia, ma apprezzo commossa il voler dedicare ancora un pensiero di riconoscenza a noi superstiti di quella tragedia, per averne tenuta incessantemente viva la Memoria, negli ultimi 40 anni, nonostante la fatica e il dolore di quanto ciò comportava. Ma ho sempre pensato che se fosse rimasto anche solo un seme di quanto raccontato a migliaia di giovani, ne sarebbe valsa la pena. La città di Assisi è stata, in quel buio periodo, esempio di fratellanza, di non indifferenza, aiutando e salvando cittadini ebrei che altrimenti avrebbero avuto un destino ben diverso.
E di questo sarò sempre riconoscente. Un caldo affettuoso shalom, Goti Herskovits Bauer"

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EDITH BRUCK:

Edith Steinschreiber, in arte Bruck, nasce a Tiszabercel, un piccolo villaggio ungherese ai confini della Slovacchia. È l'ultima dei sei figli di una povera famiglia ebraica. Conosce, fin dall'infanzia, l'ostilità e le discriminazioni che nel suo Paese, come nel resto d'Europa, investono gli ebrei. Nella primavera del 1944, a tredici anni, dal ghetto di Sátoraljaújhely viene deportata ad Auschwitz e poi in altri campi tedeschi: Kaufering, Landsberg, Dachau, Christianstadt e, infine, Bergen-Belsen, dove verrà liberata, insieme alla sorella, nell'aprile del 1945. Non faranno ritorno la madre, il padre, un fratello e altri famigliari. Con l'opera “Chi ti ama così” Bruck inizia la sua carriera di scrittrice e testimone della Shoah.

Il messaggio - "Alla Signora Sindaca, alle autorità, ai frati francescani e cittadini di Assisi. Per impegni irrinunciabili purtroppo non posso essere con voi. Dire che mi dispiace è ben poco dato il mio affettuoso legame con Assisi di lunga data; San Francesco era un esempio anche per mio marito agnostico Nello Risi. Assisi era la città dove avremmo dovuto passare la nostra ultima vacanza insieme ma l' ingresso della Basilica crollò. Se mio marito fosse ancora con me, sarebbe anche lui orgoglioso di sapermi cittadina di una città che forse mi avrebbe salvato la vita, come fece per diversi ebrei nei tempi più bui con fratellanza e umanità francescana. Anche adesso la città di Assisi dovrebbe essere un modello per affrontare l’attuale antisemitismo e il dialogo interreligioso e la convivenza pacifica. Francesco è il nome giusto anche per Papa Bergoglio che è venuto a trovarmi, chiedendo perdono per
la Shoah del popolo martire a cui appartengo. Un abbraccio collettivo e infinite grazie. Edith Bruck".

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VIRGINIA E LEA GATTEGNO:

Virginia e Lea Gattegno nascono a Roma rispettivamente il 31 luglio 1923 e il 6 novembre 1925. A Virginia e
Lea seguiranno il fratello Alberto, nato nel 1929, e Michele, nato molti anni dopo a Rodi. La famiglia si trasferisce da Roma ad Anzio dove rimarrà fino al 1936 quando il padre Shalom riceverà l'invito a dirigere la scuola ebraica di Rodi, all'epoca sotto il governo italiano. Purtroppo la serenità della vita a Rodi viene presto spezzata prima dalla morte di Shalom, a causa di una malattia respiratoria, quindi dalla perdita dei diritti di lavoro e di studio a seguito delle leggi razziali del '38 e infine dalla deportazione ad Auschwitz dove la madre Marcella, Sara e Michele troveranno morte immediata nelle camere a gas. Alberto - si saprà tempo dopo - morirà in miniera, poco prima della liberazione. Virginia e Lea, che rimarranno quasi sempre insieme durante la prigionia, sopravvivono e verranno liberate nel gennaio del '45 con l'abbattimento dei cancelli di Auschwitz da parte dei russi. Dopo un tempo passato nel campo per riprendersi fisicamente, tornano a Roma. Oggi Lea e Virginia vivono distanti, rispettivamente a Bruxelles e a Venezia, ma sono serene, ognuna in casa di riposo nella propria città di adozione. Hanno mantenuto i contatti finché l'età lo ha concesso. Sono le figlie, adesso, a scambiare le notizie per loro".

Il messaggio - "A nome di Lea e Virginia Gattegno, con mia sorella Raffaella Cipolato e mia cugina Jeannette Franco, ringrazio, con sincera emozione , il Sindaco di Assisi, la Sua Amministrazione e la Città di Assisi per questo riconoscimento così fortemente voluto e che va oltre il suo valore simbolico comunque molto importante. Un riconoscimento che ci fa riflettere sul significato di due parole di cui Assisi si fa portatrice da lungo tempo. Una è "cittadinanza" che ispira subito il sentimento di accoglienza e di fratellanza che, nell'occasione odierna, vengono dimostrate nei confronti dei sopravvissuti e le famiglie dei sopravvissuti qui presenti. Un sentimento che non è sentimentalismo ma, al contrario, qualcos che risponde concretamente a quell' indifferenza che, come sappiamo, ha fortemente contribuito a spianare la strada alle persecuzioni e alle deportazioni durante la seconda guerra. Indifferenza mai completamente debellata e che purtroppo, sotto molteplici forme, è ancora presente nella società in cui viviamo, lavoriamo, creiamo famiglia, tessiamo le nostre relazioni interpersonali. 
Assisi città di pace. E "pace" è la seconda parola. Una parola che fa proprio pensare alla famiglia di Lea e Virginia. Una famiglia nata e cresciuta nella pace, nell'amore per la pace e per la vita. Una vita che ha conosciuto momenti bellissimi di cui Lea e Virginia conservano ancora oggi ricordi struggenti, come nell' isola di Rodi, un paradiso in terra, come spesso l'hanno definita, l'isola delle rose e delle farfalle, del mare blu. Da quel paradiso e dalla loro amata famiglia, le due sorelle sono state letteralmente strappate e gettate nell'inferno dal quale sono tornate grazie alla loro forza, al loro amore per la vita e a una sorte che le ha quasi sempre tenute insieme e che le voleva fuori di lì per continuare a crescere, a diventare donne e poi madri e nonne. E per raccontare poi, con fatica e dolore ma anche con grande dignità ed equilibrio, quello che avevano visto e provato sulla loro pelle.
Lea e Virginia hanno vissuto qualcosa che ancora oggi si fa molta fatica a credere sia stato possibile. Ma lo è stato. Nel buio di Auschwitz hanno visto sprofondare la loro famiglia e il loro quotidiano che fino a quel momento era apparso così rassicurante e protettivo. La famiglia Gattegno era una famiglia numerosa, vivace e unita da affetto profondo e profonda stima l'uno nei confronti degli altri. Innumerevoli volte ho pensato a quei nonni e a quegli zii che non ho potuto conoscere e che chissà quante cose e quali insegnamenti ci avrebbero trasmesso e arricchito nel cuore e nella mente. L'antisemitismo, lo sappiamo, ha origini antichissime ed è ben lontano dall'essere sconfitto. Ne esiste di tipo silenzioso, sotterraneo, apparentemente innocuo, che si esprime principalmente nei luoghi in cui ci si sente parte di un gruppo e quindi protetti, come può capitare in un bar o in una piazza. Ma se a questo aggiungiamo manifestazioni di richiamo alle camere a gas, sbandieramento di simboli nazifascisti, negazionismo (che oltretutto va in contraddizione con l'esaltazione delle camere a gas) ne otteniamo una miscela esplosiva di odio e violenza che non si può più tollerare. Entrambi i casi, tuttavia, sono figli generati dalla non-formazione e dalla non-informazione. In poche parole dalla carenza preoccupante di una cultura della storia dell'uomo e dei popoli, del confronto e del dialogo. E facilmente, in tutto questo, rapida e istintiva, si innesta la paura che offusca le menti come una nebbia densa e fitta in cui perdere l'orientamento e i contorni di una strada che, al contrario, ci viene data alla nascita illuminata e senza ostacoli. 
Ci auguriamo che questo riconoscimento dia un ulteriore contributo per rafforzare lo scudo contro non solo l'antisemitismo ma contro ogni forma ed espressione di razzismo ed esclusione. Manteniamo la speranza e la fiducia che tutte le istituzioni, politiche e sociali, continuino ad alimentare ed incoraggiare il lavoro, lo studio, l'informazione corretta a cui tutti, ed in particolare le nuove generazioni e quelle a venire, hanno il diritto e il dovere di fare riferimento e di trarre ispirazione. Concludo esprimendo nuovamente la nostra gratitudine al Sindaco di Assisi, Prof.ssa Stefania Proietti, che si è prodigata con sensibilità e determinazione per trasmettere questo segnale importante, al Consiglio Comunale, alla città di Assisi e, ultimo ma non ultimo, all'UCEI, nella persona della Presidente Dott.ssa Noemi Di Segni, per l'apporto e il sostegno dimostrato in questo percorso di memoria.
A tutti vada il nostro affettuoso abbraccio. Donatella Cipolato".

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SAMUEL (SAMI) MODIANO:

Samuel Modiano, detto Sami, è nato a Rodi il 18 luglio del 1930, quando l'isola era una colonia italiana. Dopo l'armistizio, i tedeschi invasero Rodi e il 23 luglio 1944 prelevarono tutti gli ebrei presenti sull'isola, senza che nessuno potesse sfuggire. Tra di loro c’erano anche Sami Modiano, la sorella 16enne e il padre. Caricarono tutti nella stiva di un vecchio mercantile in condizioni disumane. Il viaggio durò da Rodi fino al Pireo: lì, il 3 agosto 1944, gli ebrei vennero caricati sui treni, stipati nel buio soffocante dei vagoni piombati, diretti verso il campo nazista di Birkenau. Una volta arrivati, uomini e donne vennero separati. Nel campo morirono sia la sorella sia il padre di Sami Modiano. Lui fu uno dei pochi a sopravvivere a quell’orrore, anche aggrappandosi alle ultime parole del padre: “Tu sei forte Sami, tu devi farcela”. Dopo l’arrivo dei russi nel 1945 e la liberazione, cercò con fatica di riprendere in mano la sua vita. L’uomo negli anni, incoraggiato anche dalla moglie Selma Doulmar, si è dedicato a far conoscere la sua esperienza ai ragazzi nelle scuole medie e superiori italiane. Molte estati, invece, le ha trascorse a Rodi, per occuparsi dell'antica sinagoga e della piccola comunità ebraica presente nell'isola.

Il messaggio - "Gentile Sindaca, nel ringraziarla per quanto la Città' di Assisi ha voluto riconoscere a noi, Sopravvissuti ai Campi di Sterminio di Auschwitz Birkenau, nel ricordo di tutti i nostri fratelli che sono stati sterminati, vorrei che le mie parole fossero rivolte soprattutto a tutti quei ragazzi che rappresenteranno in futuro noi Testimoni della Memoria, in un mondo che tende ormai troppo facilmente a dimenticare tutto ciò che è stato. Ma sono convinto, credo fermamente, che fino a che ci saranno iniziative come le sue, il nostro sacrificio non sarà stato inutile. Ancora grazie per aver pensato a noi, nonostante tutto il tempo trascorso. Un cordiale Shalom. Sami Modiano".

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LILIANA SEGRE:

Liliana Segre, nata a Milano il 10 settembre 1930, da bambina non aveva idea di appartenere ad una famiglia ebraica, dal momento che suo padre si dichiarava laico. Ma le leggi razziali del 1938 hanno colpito anche lei: in quell’anno, Liliana è stata espulsa dalla scuola per le sue radici. Le persecuzioni si sono poi fatte sempre più intense, tanto che nel 1943 lei e suo padre hanno tentato la fuga verso la Svizzera. Il loro piano non ha avuto successo: rispedita indietro, la ragazzina è stata arrestata e detenuta col suo papà a Milano per più di 40 giorni. Aveva appena 13 anni. Liliana è stata deportata dall’ormai tristemente noto binario 21 della stazione di Milano Centrale. Il 30 gennaio 1944 è stata costretta, assieme a suo padre, a salire a bordo di un convoglio diretto al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Dopo 7 giorni di viaggio in condizioni disumane, la ragazzina è stata separata dal papà, che è stato ucciso poche settimane dopo. Con il suo numero stampato sulla pelle (75190 – questa la sua matricola), Liliana ha lavorato per un anno nella fabbrica di munizioni ed è riuscita a scampare alla cosiddetta “soluzione finale”, lo sterminio di massa degli ebrei. All’inizio del 1945, è stata costretta dai nazisti, quasi con le spalle al muro per l’avanzata dell’Armata Rossa, ad affrontare la marcia della morte verso la Germania. Il 1° maggio 1945 è stata finalmente liberata dai soldati russi: era rifugiata nel campo di Malchow, ed è stata una dei pochi sopravvissuti a questa terribile follia. Ritornata in Italia, Liliana si è trasferita dapprima dai suoi zii e poi dai nonni materni, unici superstiti della sua famiglia. Oggi ha tre figli e tre nipoti. Nel 1990 ha incominciato a raccontare la sua esperienza da sopravvissuta e ha ricevuto numerosi riconoscimenti e onorificenze per il suo impegno di testimone. Il 19 gennaio 2018 è stata nominata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella senatrice a vita “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”.

Il messaggio - "Gentile Sindaco di Assisi, è un onore speciale per me ricevere la Cittadinanza Onoraria per la Pace di Assisi. Una città celebre nel mondo per la sua bellezza, per l’impegno costante per la solidarietà e per la pace, per il confronto e il dialogo fra le genti e le religioni. Una città non per caso Medaglia d’oro al merito civile, in ragione dell’impegno profuso da tanti suoi cittadini durante la seconda guerra mondiale per salvare centinaia di ebrei, di perseguitati, di soldati alleati, oltre che per la salvaguardia di un inestimabile patrimonio artistico. Ma il piacere è tanto più grande perché condiviso con tutti i sopravvissuti italiani alla Shoah, il che dà un rilievo e una bellezza particolare a questa giornata. Da oggi dunque Assisi sarà ancora di più la città di noi tutti. Purtroppo ragioni di età, di salute e di sicurezza, oltre alle note attuali difficoltà, mi impediscono di essere presente in città come vorrei e di partecipare alla cerimonia. Ci tengo però a condividere con voi quei sentimenti democratici ed antifascisti, quella vocazione al dialogo e all’incontro che storicamente sono appannaggio del vostro territorio e della Regione Umbria. Certa che la comune cittadinanza renderà più saldi questi nostri valori e princìpi auguro alla vostra, anzi nostra, Comunità un futuro di prosperità e di progresso morale e civile. Dopo un periodo drammatico come quello da cui stiamo faticosamente uscendo ne abbiamo tutti bisogno. Grazie di nuovo dunque ed un caro saluto a Lei, al Consiglio comunale, ai miei nuovi Concittadini, a coloro che con me oggi possono fregiarsi della Cittadinanza Onoraria per la Pace di Assisi. Liliana Segre".

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DIAMANTINA VIVANTE:

Diamantina Vivante nasce a Trieste l’8 ottobre 1928 da una famiglia ebraica di origine corfiota stabilitasi nel capoluogo giuliano a seguito del violento pogrom cui furono oggetto gli ebrei di Corfù alla fine dell’Ottocento. Diamantina è la più piccola di cinque fratelli: Giulia la maggiore, Ester, Enrichetta e maschietto Moise. Il 18 settembre 1938 vive in prima persona la proclamazione delle Leggi Razziali, assistendo lei stessa al discorso tenuto dal Duce in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste. Quel giorno segnò in maniera indelebile la vita di Diamantina, della sua famiglia e di tutti gli ebrei italiani. Persero tutto: dalla possibilità di lavorare, di andare a scuola, fino ad arrivare alla perdita di ogni sorta di libertà. La famiglia Vivante fu, infine, costretta ad abbandonare la propria casa per nascondersi, dietro pagamento, nella soffitta di un sarto e sua moglie, presso i quali lavoravano per garantirsi rifugio e il loro silenzio. Nell’autunno del 1944, il sarto e la moglie vendettero ai nazisti Diamantina e la sua famiglia; solo per un caso fortuito il padre Zaccaria non venne catturato. Nel febbraio del 1945 partirono con l’ultimo convoglio proveniente dall’Italia alla volta del campo di concentramento di Ravensbrück, in Germania. Al loro arrivo, però, il treno venne reindirizzato verso un altro lager: Bergen Belsen. Diamantina Vivante fu l’unica deportata della sua famiglia a fare ritorno, dopo lunga degenza in vari ospedali e dopo aver girovagato per l’Europa cercando modo di tornare a casa, a Trieste. Lì, per fortuna, ritrovò il padre e una zia, sfuggiti alla cattura durante il conflitto che si presero cura di lei.

Il messaggio - "Buongiorno a tutti. Il mio nome è Alessandro Salonichio e sono il figlio di Diamantina Vivante. Purtroppo, vista l'età e per il precario stato di salute, non potrà assistere personalmente a questo significativo evento che la vede insignita della cittadinanza onoraria di Assisi, città simbolo della Pace tra i popoli. La sua vita è stata definitivamente segnata dall'esperienza nel lager, esperienza che però non ha mai smesso di raccontare al prossimo trasmettendo la sua testimonianza affinché alcun revisionismo storico possa cancellare la propria triste storia. Ringrazia di cuore questa Amministrazione, l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane qui rappresentata dalla presidentessa Noemi Di Segni e gli organizzatori tutti per aver voluto dedicare a pochi reduci dei lager nazisti ancora in vita questo riconoscimento. Vorrebbe poterlo condividere idealmente con tutte le vittime della Shoah e con coloro che dai quei campi di concentramento e di sterminio non hanno più potuto fare ritorno. Grazie. Alessandro Salonichio per conto di Diamantina Vivante"


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