Cronaca

"Vi siete sempre sbagliati, ma quale etrusco: l’Arco di Augusto è d’epoca romana"

Parola del professor Franco Mezzanotte, storico perugino illustre: ecco la sua tesi

“Ma quale etrusco! L’Arco di Augusto è certamente d’epoca romana. O almeno, nel periodo della Perusia romana, è stato  smontato e rimontato più in basso. Ma quali segni di cava! Le lettere incise su alcuni conci portano traccia non dell’origine, ma della destinazione”. Parola del professor Franco Mezzanotte, storico perugino illustre. Tanto legato al maggior monumento cittadino, da averlo davanti agli occhi tutti i santi giorni, guardando dalle finestre del suo appartamento, posto all’imbocco di corso Garibaldi. Le recenti acquisizioni, emerse alla luce degli interventi in atto sul monumento simbolo della città, sembrano rafforzare queste sue convinzioni. Peraltro suffragate da robuste argomentazioni.

Cominciamo dalle lettere rubricate (ossia, ripassate con vernice rossa). “Un modo per risparmiare, ossia per mettere in risalto una scritta senza affiggerci lettere di bronzo, certamente più costose di una semplice colorazione”.

Insomma: la spending review non è solo un’esigenza dei nostri giorni. “Al tempio di Minerva, in Assisi, pur non rimanendo le lettere in bronzo originali (usate per fabbricare proiettili o manufatti d’uso), si sono potuti ricostruire i caratteri e le parole dalla posizione dei buchi sui quali le lettere stesse erano innestate”, asserisce lo storico perugino. Dunque, a Perugia (a quei tempi) le cose non dovevano andare così bene se, mancando i soldi per il metallo, ci si dovette accontentare di celebrare il divus Augustus (forse in età tiberiana) con la vernice rossa, emersa imprevedibilmente sotto il bisturi dei restauratori, pagati dal re del cachemire Brunello Cucinelli. 

Tanto per dire che lo storico Arco non racconta un momento alto della splendida città etrusca, ma una fase critica del periodo seguente l’avvenuta romanizzazione. C’è poi la questione dei cosiddetti “segni di cava”. La teoria consolidata lega le lettere che compaiono su alcuni conci alla cava di provenienza: insomma un marchio doc. Eppure, secondo Mezzanotte, le cose non starebbero affatto così. E afferma: “Ma è noto che la cava da cui provengono i materiali lapidei in travertino è quella di Santa Sabina, propaggine perugina dell’antico Lago Tiberino”.

Dunque, ci si chiede, perché usare lettere diverse per indicare lo stesso luogo di provenienza? Il ragionamento non fa una piega. La sua tesi: “Le lettere incise sui conci – a mio avviso – documentano invece dei lotti di fornitura dei materiali destinati alla costruzione del manufatto”. “D’altronde – aggiunge il colto medievista – i segni su alcune pietre negli scavi della cattedrale portano la sigla CA, che non indica affatto la cava d’origine, ma la divinità (Cata), al cui tempio erano destinate”. Ineccepibile. Anche il ductus delle lettere (grafia capitale augustea) denuncia inequivocabilmente il periodo in cui furono vergate sul duro travertino: indubitabilmente l’età romana per entrambe le scritte. Un’ulteriore conferma del fatto che l’arco possa essere stato ricostruito in epoca romana, e quindi spostato verso il basso, risulta evidente da diverse circostanze.

La scritta “Colonia Vibia” ricorda l’imperatore romano Gaio Vibio Treboniano Gallo, che concesse alla città lo stato di colonia (ius coloniae) coi privilegi connessi. E come non rammentare che, stando alle risultanze degli studi di Franco Cotana, questo imperatore romano era di Marsciano? E che la scritta deve essere per forza successiva al suo regno? (gli studiosi lo chiamano “terminus post quem”). 

È dunque incontestabile che i materiali sono stati incisi in epoca romana e non pare fuori luogo ipotizzare il trasferimento in basso della Porta Pulchra. Ma, campanilismi a parte, a ulteriore riprova dello spostamento, si può osservare che, percorrendo via Cesare Battisti (che i vecchi perugini continuano a chiamare “Strada Nova”), si nota un innesto improprio e a forte rientranza nella tessitura muraria: segno di un avvenuto avanzamento della stessa. Ma come mai la cinta sarebbe stata spostata verso il basso? Perché il fenomeno d’infiltrazione delle acque, che confluivano a nord (si pensi alla soprastante via Pozzo Campana), doveva aver favorito uno scivolamento della cinta muraria, comportandone una pericolosa instabilità. Con tutte le conseguenze: di carattere civile e militare.

La teoria dello spostamento – avanzata per primo da Francesco Roncalli – è stata confermata dal reperimento, nei locali dell’ex cinema Mignon, dentro palazzo Brutti, di un muro più antico di quello sottostante. Si tratta di strutture che delimitano vani, oggi nella disponibilità della Soprintendenza, un tempo incapsulati nelle strutture del cinema. Sopralluoghi effettuati da esperti, come l’architetto Michele Bilancia (presidente e fondatore di “Radici di Pietra”), hanno consentito di verificare che le cose starebbero proprio così. Ossia che esiste una cinta più antica e più interna.

Dunque, secondo il professor Franco Mezzanotte, l’attuale Arco etrusco sarebbe un rifacimento d’età romana, con l’utilizzo degli stessi materiali, dell’arco realizzato dagli etruschi qualche secolo prima. D’altronde, la pratica dello smontaggio, e conseguente rimontaggio in altro sito, è comune ad altre emergenze monumentali perugine, come Porta Eburnea o della Mandorla, sulla quale però s’intervenne in età medievale. Anche qui, dei conci murati alla base, con la scritta VIB (ancora per “colonia Vibia”) dimostrerebbero che l’ipotesi di Mezzanotte è tutt’altro che peregrina. Insomma: un Arco Etrusco-Romano. Cosa c’è di male a sostenerlo? Il dibattito è aperto.


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