Cronaca

Omicidio di Po' Bandino: "dall'uomo nero" alla bianca visione che ordina di uccidere Alex, il racconto della madre agli psichiatri

Si torna in aula il 18 luglio per ascoltare i periti nominati dal giudice per stabilire la capacità di intendere e volere della donna. Colloqui molto difficili, con l'imputata che non risponde o racconta poco

Che cosa può dire allo psichiatra una donna accusata di aver ucciso il proprio figlio per vendetta contro l’ex? Che cosa può raccontare una donna che ha riferito di un’aggressione e di un uomo che avrebbe ucciso il bambino, salvo poi cambiare idea, raccontare di una visione che ordinava di farlo e poi si è chiusa nel mutismo?

Katalina Erzsebet Bradacs si presenta davanti al collegio di periti che deve valutare la sua capacità di intendere volere e quella di stare in giudizio. La donna è accusata di aver ucciso il figlio, Alex di due anni, e di averlo poi poggiato sul nastro di una cassa di un supermercato a Po’ Bandino.

Seduta davanti ai periti, difesa dall’avvocato Enrico Renzoni, però, la donna non parla, non risponde. E quando lo fa mantiene un tono controllato, esprimendosi con poche parole. Non parla di fronte al legale dell’ex marito e padre del piccolo, l’avvocato Massimiliano Scaringella.

D’altronde ha poco da dire, in quanto la verità fattuale (ancorché processuale) è stata ricostruita dai Carabinieri e dalla Procura di Perugia e lei stessa, davanti al pubblico ministero Manuela Comodi e al giudice Angela Avila, così come davanti al periti, ha riconosciuto i suoi comportamenti.

La prima versione del delitto raccontata agli investigatori era stata quella “dell’uomo nero” che aveva pugnalato il piccolo Alex, seduto sul passeggino, mentre lei si era allontanata di pochi metri, forse per telefonare o fumare una sigaretta.

La madre è stata ripresa dalle telecamere a Po’ Bandino, “solo lei con il bambino” mentre “percorreva il sentiero che porta al rudere dove è avvenuto il delitto” e “sempre sola, con il figlio in braccio, questa volta ferito e verosimilmente già privo di vita” quando “giunge nel supermercato” dove compie il gesto di adagiarlo, chiedendo aiuto. Il giudice per le indagini preliminari scrive anche che “una messinscena sembra anche la ferita da taglio all’avambraccio sinistro della donna”.

Durante un interrogatorio aveva cambiato i protagonisti dell’episodio, ma sempre mantenendo una via di fuga aperta, raccontando di aver visto una figura vestita di bianco che le avrebbe ordinato di farlo, cioè di accoltellare il bambino.

Comparsa davanti al giudice per le indagini preliminari, nell’ambito della discussione della prima perizia che ha ritenuto l’imputata incapace di intendere e volere, ma che al magistrato non è bastata tanto da chiederne un’altra, alla donna era stato chiesto se fosse a conoscenza del perché si trovasse in tribunale e lei aveva risposto: “Perché ho ucciso il mio bambino”.

Il prossimo 18 luglio si torna in aula per discutere proprio dell’elaborato dei periti e capire se la donna è capace di intendere e volere.

Secondo la ricostruzione degli investigatori Katalin Bradacs ha adagiato il corpo del piccolo Alex sul nastro trasportato della cassa di un supermercato di Po’ Bandino, frazione tra Città della Pieve e Chiusi, chiedendo aiuto, ma pochi istanti prima lo avrebbe colpito almeno nove volte con un coltello (due i colpi mortali secondo il medico legale).

La donna, 44 anni, in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato, mentre chiedeva aiuto aveva già inviato foto, video e audio che ritraevano, testimoniavano e rendevano noto il delitto a parenti e amici in Ungheria. Si tratta di file che gli investigatori diretti dal sostituto procuratore Manuela Comodi hanno rintracciato seguendo i numeri delle comunicazioni via cellulare. Immagini e video diffusi tramite social ad amici, parenti (come il primo figlio, 18enne, che poi avrebbe allarmato le autorità avendo visto l’immagine del fratellino morto) e che testimoniano il disagio della donna, così come testimoniato dai servizi sociali ungherese che le avevano tolto il bimbo, affidandolo al padre, con diritto di visita due volte e sotto sorveglianza.

Tra gli elementi di prova c’è anche una telefonata tra la donna e il padre del bimbo. Telefonata nella quale la donna chiede all’ex compagno di poter avere più giorni a disposizione con il figlio, affinché non si dimentichi di lei. L’uomo le dice che non spetta a lui concedere qualcosa, ma che è necessario che lei si curi prima e accetti la decisione del giudice. La 44enne, con un passato da ballerina nei night e nel mondo del porno, piange, si dispera, dicendo che così non lo vedrà per anni e il bimbo non si ricorderà di lei.

Il delitto sarebbe maturato nell’ambito del rapporto conflittuale con l’ex marito, proprio per l’affidamento del figlio, che le autorità ungheresi avevano dato all’uomo, ritenendo la donna inaffidabile. Eppure era riuscita a lasciare il proprio Paese e tornare in Italia, dove si è consumato il delitto, consumato per punire l’uomo che riteneva il nemico.