Cronaca

Omicidio via Oberdan, 30 anni all'assassina. La difesa: "Considerava la vittima come una madre e si è sentita rifiutata"

La difesa di Renate Kette, l'assassina di Danielle Chatelain, ha depositato il ricorso in Appello avverso alla condanna a trent'anni di reclusione stabilita dal gip lo scorso 7 luglio

Renate Kette che nel maggio del 2016 uccise in via Oberdan Danielle Claudine Chatelain, la madre della sua compagna, per la difesa "considerava la vittima come madre, una famiglia e le motivazioni del delitto non vanno ricercate nel fatto che la donna non volesse più che vivesse con lei, ma perchè voleva sbatterla in mezzo a una strada".

E' questo uno dei punti della tesi sostenuta dalla difesa, che ha depositato il ricorso in Apello avverso alla condanna a trent'anni di reclusione stabilita dal gip lo scorso 7 luglio. Al termine del processo in abbreviato, il giudice aveva riconosciuto all'imputata l'aggravante della minorata difesa della vittima e dei futili motivi. Ora gli avvocati difensori Panzarola e Giorni, chiedono ai giudici della Corte 'Assise d'Appello - in riforma totale o parziale della sentenza di primo grado - di concedere all'imputata le attenuanti generiche, di non ritenere sussistente l'aggravante dei futili motivi e riconoscere la sussistenza dell'attenuante della cosidetta provocazione.  

Inanzitutto, sostiene la difesa nelle motivazioni d'appello, "l'insussistenza dell’aggravante dei futili motivi, l'erronea ricostruzione del movente dell’azione delittuosa en del contesto in cui è avvenuto l'omicidio e del rapporto tra l’imputata e la vittima". L'imputata conosceva da circa 20 anni la famiglia della vittima, e Kette era stata accettata prima come amica di Sarah, la figlia della vittima, e poi negli ultimi 3/4 anni, come compagna, accolta nella loro abitazione. Nel febbraio precedente, la famiglia aveva vissuto il grande dramma della perdita di Sarah a causa di un tumore. Kette però l'avrebbe assistita "fino all’ultimo giorno della sua vita e in via esclusiva perché la sig.ra Chatelain non si occupava della figlia, con la quale non vi erano buoni rapporti". Assistenza, questa, prestata anche alla vittima: "era lei che si occupava di somministrarle medicinali e di farle delle iniezioni".

La convivenza tra Kette e la vittima Danielle si sarebbe incrinata dopo la morte della figlia tanto che, poco prima del trasferimento in un'altra casa, la vittima le avrebbe comunicato di non voler proseguire la sua convivenza con lei, nonostante l'imputata le avesse chiesto di poter dormire almeno nel garage. "Kette - scrive la difesa - non ha chiesto e non ha imposto alla Chatelain di rimanere in quella casa. Le aveva chiesto solo di poter rimanere cinque giorni per trovare poi altra sistemazione. Danielle le aveva risposto fermamente di no apostrofandola con disprezzo con la parola “delinquente”, per poi girarle le spalle per uscire dall’abitazione". A questo punto sarebbe scattato il “raptus” come lo definisce la stessa imputata: la spinta sulla scale e il fatto di aver sbattuto la testa della vittima sui gradini delle scale. 

"La scaturigine di quel fatto non deriva dalla volontà manifestata dalla Chatelain di non proseguire la convivenza con Renata, che era ormai fatto a quest’ultima noto da giorni e che la stessa, secondo quanto riferisce al Gip, aveva accettato, anche se con sofferenza, tant’è che aveva chiesto  alla vittima di poter dormire almeno nel garage". E’ il rifiuto - per la difesa - il muro alzato e il disprezzo mostrato da chi per l’imputata rappresentava l’unico punto di riferimento nella sua vita, una famiglia, seppur acquisita a seguito della relazione con la figlia, che ha determinato il raptus”.

Si stappa una birra e chiama i carabinieri.  Il gip aveva ritenuto di non concedere le attuanti generiche anche in base alla condotta dopo il gesto omicidiario, che sarebbe stata improntata a fatalismo e rassegnazione: in particolare, prima di chiamare la Polizia avrebbe acquistato una birra per sorseggiarla nell’attesa.  Su questo punto la difesa ribatte: "E’ ragionevole ritenere che ce l’avesse in casa e che l’abbia portata con sé per farsi coraggio in un percorso di ammissione delle proprie responsabilità con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate. L'acquisto inoltre è delle 9.30, mentre Renate Kette chiama i carabinieri alle 10.38".

L’omicidio - sostiene la difesa è stato realizzato  nell’ambito di “uno stato emotivo e passionale” che non può essere “ridotto” al semplice rifiuto di continuarlo a mantenere da parte della vittima, ma dal sentirsi rifiutata dall'unica persona che praticamente le era rimasta al mondo dopo una vita complicatissima. Ora la decisione spetta ai giudici della Corte d'Appello d'Assise; la  fissazione della data potrebbe avvenire già dopo la fine dell'estate. 


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