Economia

DOSSIER Lavoro: sempre più precario e pagato male. Cala la popolazione in età lavorativa. La situazione in Italia ed Europa

I dati sono contenuti nell’indagine sul reale stato dell’occupazione italiana realizzata dalla Fondazione Di Vittorio, da cui emerge che, nonostante l’aumento del tasso di occupazione, la situazione non è così rosea


L’attuale rallentamento dell’economia mondiale rischia di costringere un numero sempre maggiore di lavoratori ad accettare posti di lavoro di qualità inferiore, scarsamente retribuiti e privi di stabilità e di protezione sociale, accentuando così le disuguaglianze esacerbate dalla crisi del Covid-19. È quanto emerge dal rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulle “Prospettive occupazionali e sociali nel mondo: Tendenze 2023”.

La crescita dell’occupazione globale sarà solo dell’1% nel 2023, meno della metà del tasso di crescita del 2022. Su scala mondiale, la disoccupazione dovrebbe aumentare di circa 3 milioni nel 2023, raggiungendo i 208 milioni (corrispondenti a un tasso globale di disoccupazione del 5,8%). L’entità moderata di questo aumento è in gran parte dovuta all’insufficiente offerta di lavoro nei paesi ad alto reddito.

Ciò segnerebbe un’inversione di tendenza rispetto al calo della disoccupazione registrato tra il 2020 e il 2022. Ciò significa che la disoccupazione globale rimarrà di 16 milioni al di sopra del valore di riferimento pre-crisi del 2019.
In Italia il tasso di occupati a ottobre 2022 era il 60,5 %. Un dato alto, certo, il più alto mai registrato nel nostro Paese. Ma comunque tra i più bassi dei 27 Stati dell’Unione europea. La media Ue, infatti, è del 70%, il tasso della Germania supera il 77%, Grecia, Spagna e i paesi dell’Est Europa hanno tassi superiori a quello italiano. I dati sono contenuti nell’indagine sul reale stato dell’occupazione italiana realizzata dalla Fondazione Di Vittorio, da cui emerge che, nonostante l’aumento del tasso di occupazione, la situazione non è così rosea.

Attenzione al controsenso. L’occupazione cresce, ma diminuisce il numero di persone in età da lavoro e tra gli occupati sono sempre di più precari, part-time involontari e lavoro povero. Tra febbraio 2020 e ottobre 2022 gli occupati sono cresciuti di 157 mila unità, mentre la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è calata di 677 mila unità.

Ad allarmare sono i dati demografici. L’aumento dell’occupazione è in gran parte determinato da occupati over 64 (raddoppiati tra il 2008 e il 2022, passando da 380 mila a 733 mila) e l’età media degli occupati è aumentata (gli over 50, infatti, sono il 40% del totale). Sul lungo periodo il problema demografico rischia poi di peggiorare: le previsioni al 2042 prevedono un calo di quasi 7 milioni di persone nella fascia di età 15-64 anni, «un dato che farebbe saltare, se non corretto attraverso un mix di interventi su lavoro, formazione, natalità e migrazioni, una parte importante della produzione italiana», si legge nell’indagine. A crescere sono anche i part-time involontari: tra il 2008 e il 2020 sono passati da 1,3 milioni (circa il 40% del totale) a 2,7 milioni (parti al 64,6%). Basta andare a vedere, infatti, il numero di ore lavorate da un occupato dipendente: nel 2008 in media erano 413, mentre nel 2022 sono state 393, cioè 20 in meno.

La percentuale di giovani italiani disoccupati, cioè che cercano lavoro senza trovarlo, è simile alla media europea: 9,5% contro il 7,7% europeo. E per quanto riguarda i giovani occupati con contratti a termine della fascia 15-24 anni il dato italiano (61%) non è lontano da quello francese (56,1%) o svizzero (54%), e inferiore a quello olandese (68%). Anche il fatto che ai giovani tra 15 e 24 anni vengano inizialmente offerti posti di lavoro a basso contenuto professionale non è una caratteristica solo italiana: il fenomeno riguarda 148.000 giovani in Italia 149.000 in Germania e 208.000 in Francia, due Paesi paragonabili al nostro per popolazione.

Anche nel settore dei sales services i numeri sono simili: 310.000 addetti in Italia, 333.000 in Francia, 375.000 in Germania. I giovani italiani, dunque, non sono sostanzialmente più sottoccupati dei coetanei europei. Sono però meno qualificati: sempre nella fascia 15-24 anni in Italia hanno concluso la secondaria superiore 1.612.000 lavoratori, contro 2.280.000 della Francia e 4.324.000 della Germania; sono laureati 627.000 italiani, 2.391.000 francesi e 1.696.000 tedeschi.

Se le condizioni di lavoro offerte dal mercato ai giovani italiani sono molto simili a quelle dei giovani europei il dato che differenzia nettamente l’Italia dall’Europa è quello della partecipazione dei giovani tra i 15 e 29 anni al mercato del lavoro: la percentuale dei Neet in Italia è del 29,8% contro il 16,4% della media europea, il 14,6% della Germania, il 17,4% della Francia. 

Come si spiega questo forte scarto? In parte per la maggiore diffusione del lavoro nero e della
dispersione scolastica, in parte per la inadeguatezza del sistema scolastico e formativo a orientare gli studenti in modo efficace e a formare le figure che occorrono, come dimostra il fatto che restano scoperte molte offerte di lavoro per programmatori, infermieri, disegnatori industriali, idraulici, elettricisti (figure che il sistema non forma a sufficienza...); in parte ancora per la mancanza di serie ed efficaci politiche attive del lavoro, cui si preferiscono sgravi fiscali e contributivi per le aziende.


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