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Il Racconto Breve di Ruggero Luzi | A volte l'abito fa il monaco...

Lei aveva quindici o sedici anni, forse diciassette, è irrilevante per il racconto. Io non rivelerò la mia età, non che provi vergogna per il divario generazionale, vado fiero del mio aspetto, semplicemente perché non è necessario approfondire l’argomento. L’avevo veduta, notata per l’esattezza, cioè guardata attentamente, e questo mi accade raramente, sono preso da me stesso e non ho l’abitudine di osservare chiunque incroci per la strada. All’inizio provai un certo imbarazzo nell’avere focalizzato l’attenzione su quella ragazza apparentemente insignificante perché di sicuro ne sarei rimasto deluso e avrei sprecato il mio tempo che non permette pause al ragionamento costruttivo se non per i rari momenti di svago che mi concedo dedicandoli alla cura della mia persona e a occasionali e fugaci rapporti sessuali. Per mia fortuna non spesi male il mio tempo. Lei, seppi da altri il suo nome, era in compagnia delle sue amiche quella mattina mentre camminavo nella via principale guardando vetrine. Non avevo l’intenzione di acquistare alcunché, non che non me lo potessi permettere, ho un ottimo stipendio base che aumenta notevolmente con la percentuale sulle vendite. Sono bravo a convincere la gente ad acquistare il prodotto che offro. Gioielli, diamanti, orologi, persino lingotti d’oro. Frequento luoghi del lusso, modestamente so muovermi in certi ambienti. Il segreto è nel corteggiamento discreto delle fidanzate, delle mogli, delle amanti. 

“Ho dei gioielli adatti al suo collo sottile. Il polso merita questo bracciale, quanto le dona l’orologio, il cinturino d’oro e il quadrante con i brillanti ha un che di aristocratico e non può privarsene”. “Amore, vieni a vedere” E il gioco è fatto. Comunque se fosse stato il giorno precedente, l’eccitazione che talvolta mi prende, ero su di giri per una vendita importante, avrei svuotato il negozio di abiti e di scarpe. Ero banalmente uscito per acquistare il materiale per dei lavoretti che mi ero imposto di fare a casa. Abito in una villetta, indipendente e delimitata da una staccionata abbastanza alta per evitare gli sguardi curiosi e invidiosi dei vicini. Di fronte la casa il prato con l’erba che non supera mai cinque centimetri dove mi alleno per le gare di golf ed è circondato da costose piante giapponesi. Nel retro la piscina dotata di uno spazio per l’idromassaggio che può ospitare comodamente otto persone. Non c’è il barbecue, mi fa schifo il grasso che cola dalla griglia e si disperde nel fumo maleodorante imbrattando gli abiti a saldo di ospiti che mai varcheranno la porta di casa mia per questa rozza usanza condominiale. 

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Non più di quattro a tavola, pietanze consegnate dal ristorante e servite dai camerieri compreso il sommelier che utilizza la mia cantina per la mescita. Ritornando al motivo dell’uscita avevo deciso di pitturare il soggiorno per dimostrare al mio amico tuttofare che sarei stato all’altezza del lavoro manuale. Lo dovevo fare da tempo ma sono un uomo pigro pur avendo tante qualità e devo aspettare lo scatto, l’impulso, il momento di esaltazione finalizzata allo scopo, al progetto. Una mia fidanzata che studiava psicologia mi etichettò compulsivo ossessivo, aveva appena letto il capitolo che descriveva la patologia e non aveva dubbi. La mandai compulsivamente a quel paese e non ci frequentammo più. Alla fine del lavoro non ero del tutto soddisfatto, il verde troppo intenso stonava con il pavimento giallognolo e decisi che avrei rimediato con la moquette, il tappezziere avrebbe compreso guardando la foto nello smartphone, lo conosco da molto tempo,  e mi fido. Questa stonatura tra la parete e il pavimento mi aveva messo di cattivo umore e avevo dormito male nonostante la compressa che sono solito prendere prima di coricarmi consigliatami dal mio collega di lavoro ipocondriaco. 

La mattina non avevo nemmeno preparato la colazione con il caffè e i biscotti al farro, non mi sono né lavato né rasato, ho indossato gli abiti del giorno prima con i quali avevo pitturato le pareti, cosa inusuale perché ci tengo alla mia persona  e sono uscito con l’intenzione di andare a scegliere la moquette. Mi soffermavo di fronte alle vetrine per l’abitudine ma non guardavo i manichini e la vidi riflessa sul vetro, c’erano anche altre due ragazze, a prima vista non ci feci caso ma qualcosa mi incuriosì e la osservai più attentamente. Non per la bellezza, era piuttosto comune, forse anche meno bella delle altre, anzi certamente meno bella. Devono avere avuto la stessa età perché scherzavano e ridevano sul fatto di essere complici per avere marinato la scuola. Lei sembrava più acerba, forse perché non aveva trucco, i capelli raccolti in maniera disordinata ma c’era una cosa che la rendeva attraente, l’ho capito in un altro momento del quale ne parlerò più avanti ma allora non fui così perspicace da rendermene conto. Li seguii, non rientra nel mio modo di fare spiare la gente ma quella sensazione che avevo provato e che più tardi si fu rivelata razionalmente in tutta la sua potenza, quella sensazione, che non avevo in quel momento di indolenza e nemmeno il tempo di approfondire, mi dette l’energia necessaria al pedinamento. 

Ritenevo, fino a quel momento, con gli alti e i bassi dell’umore dell’uomo non più giovanissimo ma in fondo abbastanza equilibrato che ha una posizione lavorativa ed economica da invidiare e non mi si consideri un narcisista, di non avere problemi nei rapporti con le donne. Ho la macchina sportiva, vesto elegantemente, uso il profumo di marca, sempre lo stesso da anni, parrucchiere e manicure, so scegliere il ristorante giusto e una notevole conoscenza dei vini, persino le migliori acque minerali. Detesto matrimoni e convivenze, doccia prima, niente coccole dopo e ognuno a casa propria. Non sopporto bambini e animali. Quel colore verde delle pareti e l’idea di trovare la moquette giusta da abbinarci ha sconclusionato le mie abitudini e sono uscito di casa, direbbe la mia ex fidanzata aspirante psicologa, in maniera compulsiva. Non ero adeguato agli incontri improvvisi e l’incontro con la ragazza in quella situazione di mia inadeguatezza mi rendeva insofferente ma non potevo certo tornare a casa a fare toilette, l’avrei perduta e anche se l’avessi ritrovata sicuramente non avrei provato la stessa emozione che poi  a mente lucida avrei concretizzato in un concetto. Cercai di mettermi n ordine prima di intraprendere l’inseguimento, per quel che era possibile, di fronte alla vetrina. 

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Sistemai la camicia imbrattata dalla vernice dentro i pantaloni ma non avevo la cintura e allora decisi di lasciarla fuori, passai la mano sui capelli per  cercare di dargli un verso e optai di lasciarli sparsi sulla fronte ma non ero completamente soddisfatto allora li mandai all’indietro, passai il dito bagnato dalla saliva sulle sopracciglia, pensai di avere ottenuto l’effetto desiderato perché il vetro in quel momento non rispecchiava nitidamente la mia immagine per un raggio di sole che lo illuminava. Non avevo più la consapevolezza del mio stato, non potevo cambiare vetrina per specchiarmi, l’avrei perduta di vista. Le ragazze si trattennero in una pizzeria e le osservai mentre sceglievano i tranci. Lei addentò la pizza con una smorfia di fastidio perché era troppo calda, la mozzarella le colava ai lati della bocca e con le dita dell’altra mano la tolse per poi rimetterla sulla bocca leccandosi gli angoli pur rimanendogli un puntino rosso di pomodoro sul mento. La trovai irresistibilmente sensuale anche se il gesto di leccare i fili di mozzarella in un altro momento lo avrei ritenuto sconveniente e sgradevole. 

La sensazione che avevo provato nel vederla riflessa nello specchio della vetrina stava prendendo forma. Ero eccitato, la desideravo, tremavo e sudavo. Prese una coca cola e non la versò sul bicchiere che le era stato posizionato sul bancone ma ci appoggiò le labbra e la sollevò per bere. Quel gesto banale di bere dalla lattina accentuò l’eccitazione aumentando il disagio dell’inadeguatezza nella quale mi trovavo per non avere avuto cura della mia persona prima di uscire sopraffatto dalla necessità di acquistare la moquette. Non sono portato ai lavori di casa, ho sempre delegato e mi torturavo per avere preso quella stupida iniziativa a causa della quale ora mi trovavo in quella situazione di impotenza perché non potevo certo farmi avanti, avevo perduto la sicurezza per la sciatteria del mio stato. Lei rideva e nel gesto banale che fece nell’aggiustarsi i capelli il desiderio aumentava, stavo perdendo il controllo e mi nascosi dietro un albero, potevo ancora vedere quello che accadeva nella pizzeria ed ero certo di non dare nell’occhio. Se non fossi stato così eccitato mi sarei vergognato del mio comportamento cosa che poi spiegai quando fu tutto finito. Uscirono dalla pizzeria e si baciarono, capii l’effusione perché si separarono. Le si inoltrò in un vicolo e pensai che si stesse recando a casa, ripresi l’inseguimento. 

Improvvisamente si fermò e si voltò rapidamente, ebbi timore di essere scoperto e mi nascosi all’interno di un cortile. La osservavo dalla fessura del muro di cinta, riprese a camminare ed ebbi l’impressione che il suo atteggiamento era cambiato, appariva diffidente e velocemente si insinuò in un palazzo. La seguii all’interno del palazzo che puzzava di muffa e piscio di gatto, nell’androne la vidi abbracciata ad un ragazzo. Si baciavano, si toccavano, sbavavano, ansimavano. Erano così indecenti che ci fu un mutamento repentino nel mio stato d’animo, provai disgusto fino alla nausea, a fatica trattenni il vomito. L’inadeguatezza improvvisamente mutò nella certezza che il mio aspetto era perfettamente adeguato alla situazione indecente e volgare. Li aggredii con una violenza inaudita, prendo lezioni private di arti marziali, colpii lui con pugni e calci, cadde fracassandosi il capo su un ferro appuntito, il sangue si raccolse velocemente sul pavimento. Lei gridava e piangeva, volevo tranquillizzarla e darle una possibilità, ristabilire l’immagine che mi era apparsa nel riflesso della vetrina ma continuava ad insultarmi e capii che non sarebbe più stato possibile recuperare la spensieratezza della ragazza acerba e informale che aveva marinato la scuola. 

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Era stata inquinata irreparabilmente.  Mi fu chiaro che ciò che trovavo eccitante era la sua incontenibile carica ormonale repressa fino allo sfogo bestiale con il ragazzo. Quella potenza ormonale spettava a me soltanto, io potevo renderla sublime, le strinsi le mani intorno il collo, assunse un’espressione decisamente più sgradevole e cadde esanime accanto al suo pari. Sarei dovuto correre a casa, fare una doccia, una goccia di profumo, l’abito blu confezionato dal sarto, la camicia di seta bianca, la cravatta di seta regimental, la cinta di pelle con la fibbia d’argento, le calze di seta, i mocassini su misura, il Rolex ed evitare che incontrasse lo zotico. Avrei potuto farlo mentre era in pizzeria ma non avevo elementi per prevederlo. Quando ammisi ciò che avevo fatto dissi che mi vergognavo per l’errore che avevo commesso nell’uscire di casa inadeguato e di aver lasciato la ragazza incustodita, descrivendo una conseguenza legittima l’alternanza delle sensazioni che mi avevano portato a quel gesto inevitabile per il bene suo e della mia reputazione. D'altronde dovevo comprare la moquette e null’altro mi avrebbe dovuto distrarre. Insopportabile il colore del pavimento e chiesi di lasciarmi andare prima della chiusura del negozio di tappezzeria. Aggiunsi, al procuratore che mi interrogava, che se avessi avuto cura della mia persona, come d’abitudine, avrei parlato con la ragazza e sono certo che non avrebbe resistito al mio fascino già collaudato evitando lo squallido incontro con quell’essere così ordinario. 

La mia condizione sciatta me lo ha impedito, mi sono trovato ad assistere alla perdita della sua purezza e questo è stato insopportabile. Ho provato a ricondurla a quell’immagine riflessa sulla vetrina ma lei ha continuato ad insultarmi con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata che emetteva spruzzi di saliva. Non era più recuperabile, così ho stretto le mani sul collo e il suo sguardo, quando ho lasciato la presa, era di nuovo innocentemente sensuale. Il funzionario, con l’abito comprato nei grandi magazzini, le dita gialle per le sigarette, la camicia sgualcita con la cravatta inadeguata e francamente orrenda, non comprese. Ora condivido la cella con due ladruncoli di auto che hanno riguardo per la mia eleganza, perché non c’è giorno che non curi la mia persona. Li istruisco facendo lezione di bon ton, due ore la mattina e due ore il pomeriggio con dei buoni risultati anche se c’è ancora molto da lavorare. Ho chiesto della vernice per dipingere la cella e mi è stata concessa. Il verde è troppo intenso e stona con il pavimento di cemento. Non ho dormito la notte al pensiero su come rimediare. La mattina non mi sono lavato e ho indossato la divisa sporca di vernice. Non l’ho sostituita con quella pulita, andavo di fretta perché dovevo chiedere al direttore la moquette. I due compagni di cella, istruiti dalle mie lezioni, mi guardavano perplessi giudicando il mio aspetto inusuale e inadeguato. Mi sono trovato a disagio per non avere avuto cura della mia persona e il loro atteggiamento era insopportabile così  ho dovuto infilare più volte  il ferro,  che avevo trafugato dalla mensa e avevo utilizzato per graffiare l’intonaco prima di passare il pennello dopo averlo intinto nel contenitore della vernice,  nelle loro enormi pance. Mi sono lavato, ho indossato la divisa pulita e ho avvisato le guardie dell’accaduto. Mi hanno gentilmente concesso una cella da solo per evitare coinquilini rozzi. 

Lo psichiatra, persona elegante negli abiti e nei modi, mi ha detto che la mia ex fidanzata aveva ipotizzato giustamente il disturbo ossessivo compulsivo ma ancora non aveva letto il capitolo sulle schizofrenie. Io ho una doppia personalità e per farmi capire, lo psichiatra, ha manipolato un detto popolare conferendogli valenza scientifica: l’abito fa il monaco. In sostanza l’abito elegante mi rende buono, la sciatteria scatena l’io malvagio. Ho iniziato una cura sperimentale senza farmaci, mi sono stati prescritti abiti casual, una via di mezzo tra l’elegante e lo sciatto con l’intento di stabilizzare il mio umore e considerata la rarità del caso sono stato inserito  in uno studio per una pubblicazione scientifica. Lo psichiatra è molto contento di avere dato un nome alla diagnosi, crede di averne giovamento nell’ambito accademico ed io sono lieto di aiutarlo. Gli ho chiesto di riportare il mio nome e cognome sul lavoro, avrei apposto la firma sull’autorizzazione. Ha accennato al capitolo sulla megalomania ma senza approfondire. Quando infilo i jeans divento aggressivo, mi calmo dopo avere indossato la camicia di seta. Poi con la goccia di profumo trovo la pace e guardo le pareti per ore ragionando sul colore. Ho ancora trent’anni per decidere la tinta giusta che non stoni con il pavimento. D’altronde se mi trovo in questa spiacevole condizione è a causa della moquette. Dimenticavo, lo psichiatra non ha concluso il suo studio. Si è presentato al colloquio con i pantaloni e le scarpe sporche di fango, emanava un odore sgradevole di sudore. Ha cercato di giustificarsi con la scusa della macchina impantanata. La guardia non ha fatto in tempo a staccare le mie mani dal suo collo umidiccio.


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